Background


LA CLASSICISSIMA DI AGOSTO

«Luigi, vieni qui!»
«Arrivo nonno! Un attimo che sto giocando con gli amici... che c’è?»
Luigi, un ragazzino sui 10 anni, i capelli arruffati e una t-shirt psichedelica, mette in pausa il videogioco, posa il joystick sul tavolo e si avvicina con aria svogliata.
«Dai, non fare quella faccia, oggi il nonno vuole raccontarti una bella storia.»
«Sì nonno, va bene - concede il nipote sbuffando - solo cinque minuti però, poi devo tornare al multiplayer con Ricky e Chen.”
«Ti ho visto, l’altro giorno in garage, che gonfiavi le ruote... lo sai di chi era, quella bici?»
Luigi, che è un tipo sveglio, guarda il nonno con sufficienza, con quelle domande retoriche lo tratta sempre come se fosse ancora un bambino di cinque anni.
«Dai, certo che lo so, era tua!»
«Bravo, era la mia, sì. L’ho sempre tenuta bene, l’ho sempre pulita, ma temo che ormai quelle ruote siano marce di ruggine, hanno quasi 70 anni. Pensa che il mio papà, che tu non hai mai conosciuto, me l’ha regalata quando avevo la tua età. L’ho usata per la prima volta in Liguria, eravamo andati a vedere la Sanremo 2020.»
«Ah sì, il Festival on-line!»
«No, non il Festival, la Sanremo era una gara di ciclismo.»
Luigi fa una smorfia, non riesce più a seguire il discorso del nonno.
È per via dell’età, ogni tanto il vecchio perde il filo logico e i suoi racconti diventano confusi, per quello un po’ tutti in famiglia lo prendono in giro.
Antonio ci riprova.
«Una gara ciclistica significa che decine e decine di corridori, i più forti del mondo, si trovavano per gareggiare tutti assieme.»
«Che piattaforma usavano?»
«Come che piattaforma?»
«Sì, dico... Meizu, Oppo, Huawei....dove giocavano?»
«Ah scusa, adesso ho capito... no, non è come pensi tu...»
Antonio è in imbarazzo, sta di nuovo facendo la figura del matusa agli occhi del suo unico, prediletto nipote. Ormai gli capita sempre più spesso di non riuscire a dialogare con la nuova generazione: il suo è ancora il mondo di una volta, analogico, Luigi invece è nato e cresciuto con il Confinamento, tante cose del Vecchio Mondo non le ha mai vissute, non ha alcuna idea di cosa fossero.
«Praticamente funzionava così: le bici non erano fisse come quelle di oggi, si andava sulle strade, lo facevo anch’io, anche 80 o 100 km al giorno.»
Il nipote se la ride.
«Dai nonno, non esagerare... 80 km io non li ho mai fatti nemmeno in macchina con papà!»
«Sì, perché adesso non si può più, però una volta potevi andare fuori casa, dove e quando volevi, e chi aveva le gambe buone in bicicletta ci faceva anche 200 km al giorno.»

Luigi sogghigna, il vecchio sta di nuovo esagerando, come se lui fosse nato ieri.
Il ragazzino li ha visti, in rete, gli allenamenti e le gare dei ciclisti professionisti, ce ne sono a migliaia, i corridori più forti vengono perfino ospitati all’interno dei videogiochi per degli eventi speciali, e poi quei video fanno milioni di visualizzazioni su Youku.
Si allenano per mesi e poi si sfidano l’uno contro l’altro in gare virtuali in cui sudano e sbuffano sulle loro biciclette, inquadrati da mille telecamere e proiettati su enormi plasma 20K.
Lo scorso Natale il nonno gli ha regalato l’estensione “ciclismo” per la piattaforma e ora può farlo anche lui, basta che colleghi il cavo e inizi a pedalare. Ma alla seconda volta che la usava già se n’era stufato, e una settimana più tardi la piccola bicicletta cablata era in vendita su Alibaba, sezione “Giochi 3D”.
Antonio si è accorto che la mente del nipote è altrove, d’altronde la sua soglia di attenzione non va oltre i due minuti, a prescindere dall’argomento trattato.
Ma questa volta ci tiene davvero, vuole restaurare la vecchia bici arrugginita e regalargliela, insieme a una bella storia del Vecchio Mondo.
“Perché non dovrei farcela?” - ha detto al telefono a suo figlio, poche ore prima - “ci riuscivo con te, vuoi che non ce la faccia con questo angelo di nipote?”
Buoni propositi e tanto ottimismo, ma ora l’angioletto lo sta guardando di traverso, le mani sono già entrambe sul joystick, il busto è già rivolto verso il plasma 20K, epicentro della sua vita sociale, scolastica, sportiva e tra poco anche sentimentale.

«Ora ti dirò una cosa che non sa nessuno dei tuoi amichetti, e non la trovi certo nei video di Youku.»
Figuriamoci, lì c’è tutto, ci caricano un miliardo di video al giorno, pensa Luigi mentre si avvicina al plasma di un altro passo.
«Quell’anno - ti ho già detto che era il 2020 - la Classicissima di Primavera si disputava nel mese di agosto, io stavo con i tuoi bisnonni in un campeggio dalle parti di..»
«Nonno! Agosto, ma che primavera, dai!»
«Sì, sì, lo so, guarda che tuo nonno non è così rincoglionito... Scusami, non volevo dire parolacce, però lascia che ti spieghi: quello era l’ultimo anno prima del grande Confinamento, l’ultimo anno in cui la Milano-Sanremo si è corsa su strada!»

La grande rivelazione non sembra aver sortito l’effetto sperato, ma quantomeno ora Luigi è più attento, le storie del Vecchio Mondo gli piacciono un sacco, piene di tutte le cose folli che facevano gli uomini del passato. I gladiatori romani che combattevano davanti a migliaia di spettatori, gli uomini del medioevo che si trovavano in centinaia all’interno di angusti edifici religiosi, fino alla generazione di suo nonno, i più incoscienti, i più pazzi: una volta ha visto il video di un concerto registrato verso la fine del Vecchio Mondo, pare ci fossero oltre 100mila persone strette le une alle altre, spalla contro spalla, fiato contro fiato.

«Quell’agosto faceva un caldo infernale e io ero un ragazzino della tua età, braghe corte e un paio di sandali ai piedi. Eravamo arrivati in Liguria quella mattina stessa, dopo un viaggio di quindici ore iniziato la sera prima, all’ora di cena. Una coda infernale, come ogni estate tutti gli italiani si riversavano verso le spiagge, in più dopo sei mesi di quarantena - all’epoca la si chiamava così – tutti temevano, o forse presagivano, che quella libertà non sarebbe durata a lungo.»
«Com’è il mare, nonno?»
«Bellissimo, come mi piacerebbe portartici e fartelo vedere. Noi di solito stavamo vicino all’acqua, sul lungomare, dove c’erano i chioschi del gelato, i bar con i tavolini all’aperto, le giovani cameriere che ti portavano i ghiaccioli direttamente al tavolo...»
«Nonno, tra poco Ricky e Chen mi chiamano!»
«Sì, hai ragione, sto divagando, ora ti parlo della corsa. La gara partiva all’alba da Milano, dove oggi c’è la sede del Partito; i ciclisti pedalavano per qualche ora in pianura e poi, con una lunga salita, scollinavano in Liguria. I problemi iniziarono sulla strada litoranea, all’epoca tutti la chiamavamo “Aurelia”. So che ti parlo di cose strane, ma tu cerca di immaginare questa scena: migliaia di automobili in colonna che in quel frammento d’estate cercavano di raggiungere un campeggio, un albergo, una casa privata, qualcuno si sarebbe accontentato di trovare un parcheggio e dormire in spiaggia per qualche giorno. Appena fuori Genova il gruppo si trovo’ imbottigliato in un ingorgo colossale, che andava dalla Riviera di Levante fino a Ventimiglia. Per un po’ i corridori e le moto al seguito cercarono di farsi spazio tra le automobili cariche all’inverosimile di persone e di bagagli, procedevano a zig zag sfiorando di continuo le fiancate dei veicoli. Poi ci fu la prima caduta, inquadrata in diretta internazionale: un olandese - non ricordo il nome, ma era uno forte, che veniva dal ciclocross - era riuscito ad evadere dal gruppo percorrendo a 50 chilometri all’ora lo stretto marciapiede dell’Aurelia, schivando paracarri e pali della luce, quando gli si parò davanti una famiglia, madre padre e 4 bambini. Quella volta le sue capacità tecniche non lo salvarono, e accadde il patatrac. L’olandesone piombò sulla famigliola e la giuria fu costretta a fermare la corsa. Ricordo che la macchina del giudice di gara era rimasta imbottigliata 3 km prima, e allora dovettero andarlo a prendere con l’elicottero della televisione per riportarlo in testa al gruppo.»
«Che fico, come nel mio spara-spara!»

Luigi ha posato il joystick e non si è neppure accorto che il suo orologio ha iniziato a pulsare di luce viola, gli amici lo chiamano.
È totalmente immerso nel racconto del nonno.

«Insomma, noi eravamo ad Alassio, ad oltre 60 km dall’arrivo, e in strada la gente aspettava con impazienza l’arrivo della corsa.
A un certo punto dalla televisione del bar arrivarono le immagini: i corridori erano stati fermati e il direttore di gara, calato dall’alto con un verricello, ora stava davanti al gruppo a discutere il da farsi con i capitani delle squadre. All’epoca si usava girare con la mascherina, si pensava sarebbe stato sufficiente, e noi eravamo tutti lì, davanti a quel bar sulla spiaggia, seminudi, ad ascoltare la telecronaca, con addosso delle mascherine azzurre che ci facevano sembrare Tuareg nel deserto.»
«C’era già il Grande V?» chiede Luigi stupito.
«Certo, era appena arrivato e aveva bloccato tutto. Ti ho già detto che la Sanremo era chiamata la “Classicissima di Primavera”, e invece quell’anno i corridori erano stati fermi per sei mesi, tutte le gare erano state annullate per il Grande V. In quell’agosto sembrava essere tornata la normalità, però molti corridori erano senza stipendio da settimane, altri correvano già senza sponsor sulla maglia, qualcuno addirittura senza meccanici, massaggiatori o compagni di squadra, perché non avevano superato i controlli fatti alla frontiera con il termo-scanner. Alla fine, dopo 30 minuti di contrattazione, il gruppo riparti, le moto della polizia erano riuscite a liberare la metà di una corsia stradale e i corridori si disposero in un serpentone lunghissimo, quando la testa lasciava un paesino della costa ligure, la coda ci stava appena entrando. Fu un’edizione folle, condizionata tantissimo dal caldo: senza ammiraglie al seguito, i corridori avevano svuotato ben presto le due borracce d’acqua a loro disposizione, e allora iniziarono a fermarsi uno dopo l’altro, posavano le bici a bordo strada ed entravano nei bar per chiedere dell’acqua.»
Antonio fa una pausa improvvisa.

«Luigi, mi segui?»
«Vai, vai! Io sto facendo un bel film in 10K!»
Il ragazzo ha sollevato le ali laterali dell’orologio e sta filmando il racconto del nonno, pronto per rivenderlo on-line o utilizzarlo per guadagnare crediti scolastici.
«Insomma, nei bar succedeva un casino, i ciclisti non avevano la mascherina e allora tanti baristi non volevano farli entrare, altri permettevano l’accesso solo agli italiani e magari lo vietavano agli olandesi o ai tedeschi, perché in quel periodo c’era ancora l’Europa, ma tra molti Stati i rapporti non erano più tanto buoni. A un certo punto la televisione inquadrò uno dei favoriti mentre stava barattando la bici di un compagno di squadra per una bottiglia di acqua naturale, e ricordo che io guardai indignato la mia nuova bicicletta, quella che ora è in garage, e chiesi a mio padre se anche quella valeva appena un litro di acqua.»
«Valeva di più?»
«Certo, però quegli uomini si giocavano un’intera stagione in poche gare, quel giorno erano disposti a tutto».

Antonio guarda imbarazzato verso la microcamera inserita nell’orologio del nipote, ora che sa di essere ripreso si vergogna del golfino in lana spessa e grigia, dei pantaloni di velluto a coste, delle babbucce in tartan. Un completo perfetto, da anziano fatto e finito.
Con un gesto finge di posarsi la mano sul fianco e intanto ricaccia nella tasca un fazzoletto sporco, il 10k non perdona, le macchie e i grumi di quel fazzoletto resteranno per sempre impressi nella memoria digitale, una didascalia impietosa a raccontare l’età e la condizione sociale dell’intervistato.

«E poi?», lo interrompe Luigi, preoccupato che quelle pause possano annoiare il pubblico e ridurre drasticamente il numero dei like al suo video.
«Quando il gruppo era dato a soli 15 minuti da Alassio, ci spostammo tutti a bordo strada in attesa del passaggio dei corridori. Quell’anno non c’era il solito carosello di vetture ad aprire la gara, giusto un paio di moto della polizia, le altre erano tutte impegnate a controllare il rispetto delle misure di protezione, per cui ci saremmo accorti dell’arrivo della corsa solo all’ultimo. Io ero lì, in mezzo al pubblico, partecipe di un continuo ondeggiare, una ballo di gruppo collettivo: i bagnanti cercavano di mantenere la posizione, la prima fila guadagnata a fatica, e al tempo stesso di rispettare il distanziamento sociale. Ne veniva fuori un movimento tellurico continuo, un serpente ondeggiante di corpi e di teste in cui si alzavano di continuo voci esagitate e grida minacciose: “Fatti più in là”, “Due metri!”, “Tenete le distanze!” All’improvviso risuonò un urlo più forte, lontano da noi la gente gridava “Forza!”, “Evviva!”. Io chiesi a mio padre se dall’alto riusciva a vedere qualcosa, lui mi disse che no, non c’era nessun gruppo in arrivo. Dopo pochi istanti ci passò davanti un uomo solo, faceva zig zag tra le macchine a testa bassa, la pancia appiattita contro il telaio. Era andato in fuga a 5 km dal via e, quando la corsa si era fermata, a nessuno era venuto in mente di verificare che anche quel corridore fosse in fila tra i gas di scarico delle automobili.
Per il passaggio del gruppo dovemmo aspettare quasi mezz’ora.
Io avevo lasciato la mia postazione per andare a fare un bagno, ma feci in tempo a tornare, inzuppato dalla testa ai piedi, mascherina compresa, e li vidi sbucare tra le gambe di mio padre. Procedevano a testa bassa, cercavano disperati di ritornare sul primo, ma ormai le squadre erano sfilacciate, vinte dall’afa e dalla sete di Agosto. Il fuggitivo arrivò al traguardo con quindici minuti di vantaggio, il gruppo era talmente lontano che il commentatore televisivo interruppe le trasmissioni per mandare un video musicale che insegnava alla gente come lavarsi le mani correttamente.”
«E come si chiamava, il vincitore?»
«Non credo tu l’abbia mai sentito nominare, era un habitué delle fughe, uno che ogni anno ci provava attaccando a duecento chilometri dal traguardo, per poi essere inesorabilmente ripreso appena la corsa entrava nel vivo. Si chiamava Mirco Maestri, e in quell'agosto vinse l’ultima Milano-Sanremo della storia del ciclismo.»

La Classicissima di Agosto
Testi: Paolo Casalis
Illustrazioni: Marco Dal Bo - marco.dalbo1@gmail.com

Copyright © 2020 Tutti i diritti riservati.
E’ proibita la riproduzione, anche parziale, in ogni forma o mezzo, di testi e illustrazioni senza espresso permesso scritto degli autori.

clicca sulle immagini per ingrandirle

portfolio image








portfolio image


Next Project

IO RESTO A CASA